Fondue di formaggio alla Valdaostana, l’aperitivo “sociale”


Non si può parlare di cucina portoghese e non parlare del baccalà . I portoghesi hanno un vero e proprio
L’immagine qui sopra svela la bellezza di una delle tante insenature che contraddistinguono l’isola di Lampedusa, anche se la foto non rende completamente giustizia ai sensi, non riuscendo a trasmettere il profumo di questo mare…
Quest’isola è la più grande delle tre isole Pelagie, distante dalla Tunisia solo 113 km, dal punto di vista climatico e faunistico, appartiene proprio alla piattaforma continentale africana. Il clima è mite tutto l’anno con punte molto elevate nel periodo estivo. La costa settentrionale caratterizzata da pareti scoscese, presenta la propria maestosità con le falesie a picco sul mare ed i faraglioni affacciati su un mare trasparentissimo. La costa a sud è più bassa e le cale terminano in incantevoli spiagge di sabbia bianca, che sono il vanto e la ricchezza dell’isola.
SORA MARGHERITA – Trattoria
P.za delle Cinque Scole, 30 – Roma
Una piccola perla nel cuore del ghetto, al centro di Roma, così si potrebbe definire la trattoria di Sora Margherita. Una porta appena visibile, senza insegna, come le vecchie osterie di una volta, (quando è chiuso non si vede nemmeno) è un vero miracolo che sia sopravvissuta indenne fino ad oggi. Ambiente caldo e familiare, piccolissimo, con una cucina minuscola ma di qualità, che si contraddistingue per tutto ciò che è casareccio: quasi tutto fatto in casa, dalla pasta al pane. Agnolotti, fettuccine a cacio e pepe, involtini, carciofi alla giudia, la parmigiana estiva, abbacchio a scottadito o alla cacciatora, aliciotti con indivia, baccalà. Fortissima l’ispirazione della più tipica cucina romana con un’importante penetrazione della cucina giudaica (siamo nel quartiere che corrispondeva all’area del ghetto ottocentesco).
La chiave per comprendere la gastronomia nel nostro “bel paese” è la tradizione. In italia girando in lungo e in largo vedrete che già facendo qualche chilometro le abitudini alimentari dei nostri connazionali cambiano. Il nostro è un popolo, che indipendentemente dala propria estrazione, ha una forte passione ed amore per la propria terra, per la propria famiglia e ovviamente per il proprio cibo. Noi non siamo italiani, ma romani, milanesi, napoletani, siciliani, calabresi e via dicendo. Questo è semplicemente fantastico e racchiude in sè il senso del nostro carattere.
Il patrimonio gastronomico che il nostro paese ha è inestimabile. In particolare se pensiamo alle differenze regionali dovremmo fare una lista infinita di sapori. Ora però proviamo a scoprire le virtù dei nostri dolci, frutto di una tradizione che affonda le proprie radici in un passato fatto di ingredienti semplici e profumi di un tempo.
Se avete la possibilità di fare un viaggio negli Stati Uniti vi consigliamo di evitare i soliti itinerari turistici con il rischio di incontare altri connazionali. Affittatare un’auto con una spesa moderata, considerando il cambio euro/dollaro molto favorevole, vi darà la possibilità di scoprire un paese autentico lontano dal chiasso delle grandi metropoli. Lo stato della Louisiana e la sua incantevole città di New Orleans, una città multietnica con un’eredità culturale davvero unica.
Considerate l’origine della sua popolazione, una miscela di tradizione inglese, una forte presenza francese e dal popolo africano discendente dai primi schiavi. Pensando a questa città viene subito in mente la musica in particolar modo il Jazz, ma anche la cucina non ha mancato di farsi influenzare da questo mix multietnico che ha dato vita alla cucina cajun: la jambalaya il gumbo e la crawfish pie sono i piatti più rappresentativi di questa cultura, tipica di New Orleans, una cucina “casalinga”, delle campagne della Louisiana, alquanto semplice da preparare ma che richiede molto tempo e molta cottura e che indulge fortemente ai sapori piccanti.
Gli ingredienti base della cucina Cajun sono i gamberetti, i granchi, il pollo, il riso e tutte le spezie possibili ed immaginabili, dal tabasco, al pepe di cayenna, alle salse piccantissime, come il Roux o il File.
Parlando di itinerari gastronomici oggi ci fermiamo in Canada, anzi in Québec. State attenti, perché rischiate di rimanere prigionieri dell’incantesimo
Ho avuto modo di conoscere questo fantastico piatto indonesiano durante un viaggio nell’isola di Bali. Quest’isola, una vera e propria enclave di una cultura antichissima e molto originale riserva delle incredibili sorprese. E’ un’isola così compatta che in poche ore si può passare dalle spiagge di sabbia del sud allo spettacolare bordo di un vulcano attivo a 1.500 metri. La vita dell’isola è scandita da innumerevoli cerimonie che, seguendo solitamente il calendario balinese simile a quello indiano, sembrano imprevedibili agli occhi dei turisti occidentali. Celebrazioni e feste vengono svolte per innumerevoli dei e negli anniversari di ognuno degli oltre 20.000 templi dell’isola.
Ogni volta che cucino il bami goreng, questo è il nome del piatto che vi presentiamo, la mia mente va direttamente ai momenti indimenticabili di questo viaggio in una cultura veramente unica. I balinesi poi, amanti di tante arti come la pittura, la scultura e la musica, non hanno certo tralasciato la cucina, ricca di pietanze speziate e profumate: il nasi kukus (riso stufato), il soto (zuppa), i sate ayam (spiedini di pollo) e per ultimo forse il piatto più celebre in occidente: il nasi goreng (riso saltato all’indonesiana). Noi vi proponiamo una variante locale molto diffusa, il bami goreng, preparato con i noodles, gli spaghetti orientali di pasta fresca.
Per prepararlo avrete bisogno di una padella con le pareti alte chiamata wok, che ormai si trova anche nei supermercati.