La chianina, bistecche ma non solo

La chianina, bistecche ma non solo

La razza bovina chianina è tipicamente italiana e deriva il proprio nome da una località toscana, la Val di Chiana. Le mucche di questa razza sono allevate da almeno 2000 anni per la loro carne prelibata e sono adesso conosciute ed apprezzate in tutto il mondo. La carne chianina rispetto ad altre è meno grassa ed ha un minor contenuto di colesterolo. In molti accusano la chianina di essere sopravvalutata, ma essendo toscana non posso fare a meno di sbandierarne i pregi.

Gran parte della sua fama nel mondo la chianina la deve ad un taglio in particolare, la lombata, bella alta (almeno due dita, ma anche quattro) con osso e filetto, cotta sulla brace e conosciuta come bistecca alla fiorentina, messa al bando in tempi di mucca pazza. La chianina però non si limita a fornirci un’ottima bistecca, sono molto gustosi anche gli ossibuchi, gli stufati, gli spezzatini, i brasati o le fettine di questa razza di bovini.
La chianina, bistecche ma non solo2
La lombata di chianina è ricercatissima e pregiata, motivo per cui arriva ad avere costi elevati, mentre altri tagli, meno conosciuti e richiesti, possono essere altrettanto buoni e più economici. Eccovi qua un esempio, una bella ricetta per cucinare del filetto di chianina.

Salsicce di vitello al vino bianco, per un aperitivo in stile spagnolo

Scusate l’assenza di questi giorni, ma oltre lo stomaco, anche la mente vuole la sua parte! Ma non preoccupatevi, non sono stato egoista e nella mia breve vacanza ho pensato anche a voi, prendendo spunti qua e là di ricette ed idee stuzzicanti ed interessanti.

Arriviamo subito al sodo, gironzolando per la nostra splendida capitale, verso le otto di sera mi è capitato di imbattermi in un locale che serviva “piatti” in stile spagnolo. L’orario era quello giusto per un aperitivo, i piedi reclamavano una sosta, ed allora ho ceduto alla tentazione.

Entrando mi sono accorto immediatamente che non si trattava di veri e propri “piatti”, ma di piccole porzioni da stuzzicare accompagnandole con qualcosa da bere. Non chiamateli piatti e neanche stuzzichini, il loro vero nome è Tapas, direttamente dalla frenetica movida spagnola.

La pasta sfoglia: ricetta e tecnica per una pasta perfetta


È sicuramente tra gli impasti più noti ma anche di più difficile realizzazione. La pasta sfoglia è uno degli impasti più importanti della pasticceria, sia dolce sia salata; si tratta di un insieme perfettamente equilibrato di farina e burro, con l’aggiunta di acqua e sale. Durante la cottura in forno, la pasta si divide formando degli strati sovrapposti, leggeri, fragilissimi, non appesantiti dal grasso; è questo il cosiddetto fenomeno della “sfogliatura“. Come realizzare la pasta sfoglia? Burro freschissimo senza altri condimenti, acqua e mani freddissime: sono questi i segreti per un risultato davvero speciale.
Ingredienti per 1kg di impasto

Preparazione:
Disporre la farina a fontana, mettervi al centro 2,5 decilitri di acqua, il sale e lavorare brevemente finchè l’impasto sarà bene amalgamato. Farne un panetto, inciderlo a croce sulla superficie perché perda l’elasticità, sistemarlo in un recipiente infarinato, coprirlo con un canovaccio e farlo riposare in luogo fresco per 30 minuti. Nel frattempo lavorare il burro dandogli la forma di un rettangolo. Avvolgerlo in un foglio di pellicola trasparente e metterlo nella parte meno fredda del frigorifero.

Nella botte piccola c’è l’Aceto buono …

Una vola si usava destinare alla produzione dell’aceto il vino guasto, il vino cioè che era stato attaccato dai batteri acetici e aveva preso appunto lo spunto acetico. Così dal vino si passa all’aceto, che oltre a conservare alcune caratteristiche del vino, si arricchisce di altri aromi, derivati dalla fermentazione acetica.
Oltre che dal l’uva, l’aceto può esser prodotto dalla fermentazione acetica di altri frutti, come ad esempio le mele, da cui si possono ottenere dei tipi di aceto con delle particolarissime proprietà organolettiche.
La tradizione italiana è custode da lunghissimo tempo di uno degli aceti, se non forse l’Aceto, con la a maiuscola, più buono e più conosciuto al mondo: l’Aceto Balsamico, prodotto esclusivo delle province di Modena e Reggio Emilia, questo tipo d’aceto si differenzia dall’aceto di vino, perché ottenuto da mosto cotto, ricco quindi di sostanze zuccherine, e non da vino, ricco invece di alcol.

Le virtù della cipolla

La cipolla è originaria dell’Asia dove era molto apprezzata dagli Egiziani che la raffigurarono persino nelle loro tombe, e fu introdotta in Europa dai Greci.Trattasi di una pianta biennale che il primo anno immagazzina nel bulbo le sostanze nutritive per utilizzarle poi, l’anno successivo, per lo sviluppo dell’asse fiorale. Esistono diverse varietà di cipolle: alcune si raccolgono in primavera ed altre nel periodo autunno-invernale; possono variare per la forma, per il colore (giallo-paglierino, rosso e bianco), per la dimensione del bulbo e per il sapore. Per conservarle è consigliabile tenerle in un ambiente fresco ed al buio (non in frigorifero).

Le cipolle non sono soltanto un condimento, si prestano anche ad ottime preparazioni che sono dei veri e propri piatti molto saporiti. Se volete rendere le cipolle meno acri e più digeribili, immergetele già affettate nell’acqua o aggiungendo un po’ di zucchero durante la cottura. Consumate cotte, infatti, le cipolle conservano in gran parte alcune delle loro proprietà; sono però controindicate, specialmente se crude, per chi soffre di iperacidità e di ulcera gastrica.

La cipolla possiede molte virtù benefiche: l’azione antibiotica del suo succo, applicato esternamente, è stata dimostrata su vari batteri cause di infezioni della pelle; è espettorante, dato che lo sciroppo di cipolla con un po’ di miele è un rimedio ideale per le affezioni respiratorie, mentre il brodo di cipolla decongestiona la faringe ed è molto utile in caso di tonsillite. Ha anche valore d’ipotensore, diuretico, depurativo: si consiglia a chi soffre di trombosi perché fluidifica il sangue e ne facilita la circolazione. E’ vermifuga ed ipoglicemizzante: abbassa cioè il livello di glucosio nel sangue permettendo di ridurre le dosi di insulina o di farmaci specifici.

Come preparare la frutta sciroppata

Come preparare la frutta sciroppata e conservare la frutta

Non so voi ma io vado letteralmente pazza per la frutta sciroppata e proprio qualche giorno fa mi stavo lamentando del fatto che non riesco a trovare una marca che mi soddisfi a pieno. Poi l’illuminazione: perchè non prepararla a casa da sola? E così mi sono documentata e ho pensato che quello che ho trovato potrebbe interessare anche a voi: la frutta sciroppata è un modo alternativo di far mangiare la frutta ai vostri bambini e allo stesso tempo di conservare la frutta anche fuori stagione ed usarla poi nelle vostre creazioni.

La frutta va lavata e se grossa fatta a pezzi per poi essere riposta in vasetti sterilizzati. I migliori sono quelli di vetro con la guarnizione in gomma. Per sterilizzarli a dovere devono essere fatti bollire per alcuni minuti e poi lasciati asciugare a testa in giù su di un telo. La sterilizzazione deve essere fatta anche dopo che sono stati chiusi. Per farlo riempiteli con il composto appena tolto dal fuoco, chiudete ermeticamente e lasciateli raffreddare capovolti. Se volete essere ancora più sicuri fate bollire i barattoli una ventina di minuti, anche dopo averli riempiti.

Oltre alla frutta ed al vasetto vi servirà anche dello sciroppo, che non è niente di più di acqua e zucchero. Per capire quando il vostro sciroppo è abbastanza concentrato esiste un trucco: prendetene una goccia tra due dita bagnate. Quando la aprirete dovrà caderne un filo unico, che ricadrà nella pentola senza rompersi. Vogliamo provare con un esempio pratico? Ecco la ricetta per delle dolcissime pesche sciroppate.

Prepariamo la caponata di melanzane

La melanzana è originaria dell’India: ne esistono parecchie varietà ma quella più nota, che viene più comunemente impiegata in cucina è la violetta, di forma allungata. Esiste anche un tipo di melanzana tonda, sfumata dal viola al bianco che si chiama “seta”. Le melanzane più saporite e più usate provengono dal Meridione.

La caponata di melanzane, nella fattispecie, è un tipo piatto della gastronomia siciliana: trattasi di ortaggi fritti (per lo più, appunto, melanzane), conditi con sugo di pomodoro in salsa agrodolce. Ne esistono moltissime varianti, a seconda degli ingredienti: le ricette “classiche”, raccolte in tutta l’isola, sono una quarantina addirittura.

Quando prendete le melanzane badate che siano sode ed abbiano la buccia lucente; devono essere al punto giusto, nè troppo acerbe nè troppo mature. per preparare la ricetta odierna, la caponata di melanzane, ricordatevi innanzitutto di tagliare a dadini le melanzane, metterle in un colapasta con del sale e lasciarle sgocciolare per almeno un paio di ore affinchè perdano l’amaro.

Cannella, noce moscata, pepe, peperoncino e tante altre spezie

Entrano nelle più svariate ricette in quantità quasi sempre piccolissime, eppure molto spesso conferiscono alle preparazioni quel certo non so ché grazie al quale un insieme di ingredienti elaborati nella cucina casalinga raggiunge la dignità di un piatto di alta scuola gastronomica. Molte spezie ci sono familiari, altre sono meno popolari: ecco qualche notizia per conoscerle meglio.

Cannella: venduta in polvere o in bastoncini (costituiti dalla sottile corteccia del cinnamomo arrotolata su se stessa), entra nella preparazione di moltissimi dolci, in particolare di quelli a base di mele, oltre che in confetture, composte e bevande, quali la sangria e il vin brulé. Rientra tra gli ingredienti del curry, miscela di spezie tipica della cucina orientale, che si utilizza in un grande numero di piatti salati.

Noce moscata: indispensabile nella besciamella, è un ingrediente ricorrente in moltissimi ripieni di agnolotti, ravioli, cannelloni, torte salate e salse per carni o pesci. Spesso usata anche per conferire un tocco aromatico a dolci e bevande, è una spezia molto delicata, da grattugiare all’ultimo momento perché il suo profumo non vada perso.

Riso con le seppie, classico mediterraneo

Diciamocelo: la seppia non ha un aspetto attraente. Il corpo è all’incirca ovale, con a un’estremità la testa ed otto tentacoli corti più due lunghi che ne spuntano, e contiene un grosso guscio o “osso”. Lunga fino a 25 cm., è di colore variabile ed ha una superficie dorsale spesso zebrata.

Tutti sanno che la seppia secerne un inchiostro, ma pochi, penso, sanno pure che la seppia, come il polpo ed il calamaro, è uno dei molluschi dotati di un sistema nervoso centralizzato, e dunque un cervello, attraverso il quale questi molluschi possono “imparare” dati sensibili e ricordare. Non bella, dunque, la seppia: ma intelligente sì!

Preparata a dovere, la seppia è squisita. La apprezzano i veneti, che la chiamano sepa, i campani che invece dicono seccia, mentre per i pugliesi è la siccia e per i siciliani la pruppusiccia. Vediamo o di passare dal vocabolario alla pentola, presentano un bel riso con le seppie.

Ravioli al vapore cinesi.

Dim SumI ravioli al vapore sono dei dim-sum, cioè gli spuntini preferiti dai cinesi: si acquistano per strada dai venditori ambulanti, oppure si consumano nelle sale da thè, dove la gente, di solito a metà mattina ed a metà pomeriggio, ama ristorarsi con infinite varietà di snacks, sorbendo una tazza di thè caldo.

I ravioli più conosciuti sono quelli di pasta di riso, tipici della cucina cantonese, ma ne esistono molte varianti locali, come quella del Nord della Cina che presentiamo qui. Sono d’altronde i cinesi ad avere inventato la cottura al vapore, che permette ai cibi di non disperdere nulla del loro sapore e delle loro sostanze nutritive.

Fra gli ingredienti di questa ricetta, i ravioli al vapore, si segnala il cavolo cinese, chiamato anche cavolo di Pechino o cavolo sedano per la forma allungata e le foglie bianco-giallastre: è acquistabile nei negozi di alimenti orientali o in quelli di frutta e verdura specializzati.

Prepariamo le sogliole alla mugnaia

La sogliola è uno dei pesci più ricercati ed apprezzati per la bontà e la qualità della sua carne. E’ un pesce di mare che vive in fondali profondi, di forma appiattita, ed ha gli occhi sul lato in cui la pelle è di colore bruno-verdastro. Può raggiungere i 45 cm di lunghezza e la parte inferiore del corpo è di colore biancastro poichè solitamente è la parte che la sogliola adagia sui fondali.

La sogliola infatti vive a profondità variabili sino a 70-80 metri sui fondali fangosi e arenosi: si cattura con reti a strascico, con particolari reti radenti (sfogliere) o particolari reti da posta (tramaglio). E’ specie comune sulle coste dei nostri mari e nell’Atlantico nord-orientale ed è variamente diffusa nel Mediterraneo.

Durante l’acquisto controllate l’aderenza della pelle al corpo: quando la sogliola è fresca la pelle risulta essere molto aderente alla carne; fate inoltre attenzione a che la sogliola non presenti colorazione giallognola, soprattutto lungo i bordi del corpo. La carne della sogliola è magra e ricca di proteine, molto digeribile ed adatta ai bambini, mentre è da evitare per chi soffre di insufficienza renale.

Lo zabaione: un energy drink tutto naturale

Lo zabaione è una delle creme più classiche e conosciute che ci siano. A base di ingredienti semplici come uova, zucchero e vino chi non la conosce non solo per gustarla in purezza ma anche per la guarnizione di torte e dolci varie? Le sue origini sono decisamente molto varie: c’è chi dice che sia stato inventato nel lontano 1500 quando il Capitano Giovanni Baglioni, accampatosi nei pressi di Reggio Emilia, mando la sua truppa in cerca di cibo: questi tornarono con zucchero, uova e vino. Ne fecero un miscuglio che risultò davvero buono a cui (forse!) diedero il nome di zabaione (appunto da Giovanni Baglioni).

Un’altra fonte invece vede l’origine dello zabaione a Venezia dove nel XVII secolo vi era l’uso di preparare una vellutata bevanda che proveniva dall’Illira (Dalmazia), era chiamata “zabaja” e veniva aromatizzata con del vino dolce di Cipro. Un’ultima versione invece ci racconta che lo zabaione prese il nome del monaco Giovanni de Baylon (che diventò il patrono dei pasticceri torinesi), che lo inventò a Torino nel XVI secolo, e che utilizzava il preparato come ricostituente e corroborante per ammalati e deboli. Quando il monaco divenne santo, il dolce diventò la crema di San Baylon, e in seguito zabaione. Il vino d’elezione per lo zabaione è il marsala tuttavia numerose sono le varianti. Al riguardo la ricetta che presentiamo oggi è a base di spumante secco.
Zabaione allo spumante (ingredienti per 4 persone)

, tipico preparato che fa parte di diritto delle più tipiche Ricette di Natale.

I pistacchi: buoni anche col pesce

Il pistacchio (Pistachia vera) e’ orginario di una vasta zona dell’Asia Minore, Siria e Turchestan: diffuso soprattutto in Iran, Turchia, Grecia e Siria, è stato introdotto recentemente anche negli Stati Uniti, mentre in Italia viene coltivata quasi esclusivamente in Sicilia. Appartenente alla famiglia delle Anarcadiaceae, l’albero del pistacchio è di altezza media intorno ai 4-5 metri, ma puo’ superare anche gli 8-10 m. Ha una corteccia di color grigio cenere, una chioma ampia e branche pendule. Il legno e’ duro e pesante, giallo intenso nelle piante giovani e rosso bruno in quelle adulte. Fiorisce in aprile-maggio e presenta fiori apetali, mentre il frutto e’ una drupa monosperma, con mallo sottile, peduncolata, ovale. Il seme, contenuto in due valve giallo crema o biancastro, unico e allungato, di colore verde chiaro, ricco di olio e proteine, sostanze estrattive inazotate e vitamine è la parte commestibile, e può esser consumata sia fresca che dopo tostatura.

Acquistate sempre pistacchi con il guscio integro e dal colore brillante, segno di avvenuta maturazione sulla pianta, ed evitate quelli con la polpa raggrinzita in quanto troppo vecchi e non più commestibili. I pistacchi si conservano per sei-sette mesi in un luogo fresco e asciutto, al riparo dalla luce, chiusi ermeticamente, altrimenti prendono un sapore ed un odore sgradevoli. Consigliati nell’alimentazione dei bambini e degli sportivi in quanto altamente energetici, i pistacchi sono però controindicati in casi di gastroenterocoliti, ulcere gastroduodenali, malattie del fegato, diabete e obesità.

La coltivazione del pistacchio è molto impegnativa e faticosa: le piante infatti fruttificano solo una volta ogni due anni e crescono di norma in terreni accidentati, dove è estremamente difficile far uso di macchine per operazioni colturali; inoltre i pistacchi vengono raccolti a mano, uno ad uno, tenendosi in equilibrio con sacchi di tela legati al corpo.