La ricetta delle Salsicce al sidro

TEMPO: 20 minuti| COSTO: medio| DIFFICOLTA’: bassa

VEGETARIANA:NO | PICCANTE:SI | GLUTINE: NO | BAMBINI: NO


Qualche tempo addietro mi è capitato di assaggiare a casa di amici un piatto molto particolare e dai sapori caratteristici: le Salsicce al sidro. Il sidro è una bevanda poco consumata in Italia, ma in altri paesi europei come Francia e Spagna, luoghi d’origine di questo prodotto, è molto apprezzata.

Il sidro è una bevanda che si ottiene dalla fermentazione alcolica delle mele, caratterizzata da un sapore lievemente acidulo e dolce allo stesso tempo. Il sidro si può utilizzare anche in cucina per insaporire piatti a base di carne o per la preparazione di alcuni dolci. Nelle Salsicce al sidro, il sapore della carne delle salsicce viene impreziosito e stemperato da quello del sidro, che impreziosisce questa portata.

Rambutan, frutto stella, mangosteen, jackfruit : dieci incredibili frutti esotici

Exotic Fruits

Mai assaggiato un Rambutan, o uno Star-fruit? Mai osservate le forme incredibili del Durian, o i colori sensuali e cangianti di un Lychee? I frutti esotici sorprendono per la loro imprevedibilità, incuriosiscono, ed essendo spesso molto difficili da trovare sono quel genere di rarità che gustiamo con particolare piacere. Se riuscite a trovarli nelle drogherie esotiche delle vostre città (sempre più piene di prelibatezze di terre lontane) o se doveste icontrarli durante un viaggio, vi consigliamo di provarli. Sono tutti imperdibili.

1. Rambutan

Proviene dall’arcipelago malese e Sud-est asiatico

Nonostante la buccia molto pittoresca il Rambutan ha un sapore simile al lychee e molto dolce e anche questo frutto sta benissimo nel tè. Basta strizzare la polpa e dolcificare la bevanda, che deve essere servita molto fredda, e servirla in dei bicchieri trasparenti con all’interno un frutto intero.

Rambutan

Masala, trionfo di cumino, coriandolo, zenzero, curcuma & Co.

Si potrebbe affermare che i masala sono il marchio di fabbrica della cucina indiana. Se spesso sono le spezie a conferire ai piatti la loro unicità e la loro identità geografica, i masala (miscele di spezie) sono responsabili degli aromi e dei sapori della cucina indiana. Alla base di questi preparati ci sono spezie più o meno comuni quali il peperoncino, il cumino, il coriandolo, lo zenzero e la curcuma.

Tra queste la mia preferita è forse quest’ultima: ha un sapore delicato e se conservata nel modo sbagliato perde le sue qualità in breve tempo; in India viene utilizzata anche per conferire al volto delle donne un colore dorato in occasione di particolari cerimonie. Dalle parole dello splendido libro “La maga delle Spezie” di Chitra Banerjee Divakaruni:

” Il giorno della curcuma, invece, è la domenica, quando la luce gocciola burrosa nei barattoli di latta che se ne imbevono fino a splendere.” Mi avvicino a lei e sento subito l’odore della curcuma, anche se mi ci vuole un attimo prima che il cervello ne registri l’aroma sottile, lievemente amaro come quello della pelle e quasi altrettanto familiare. Tilo mi invita ad accarezzarne la superficie con la mano: “Lascia che la polvere gialla ti infarini il palmo e i polpastrelli: è polvere d’ala di farfalla.” Poi anche lei fa scivolare il palmo della mano sulla superficie serica della spezia e l’avvicina al volto, strofinandosi le gote, la fronte e il mento. “Per millenni prima dell’inizio della storia, le spose – e le fanciulle che aspiravano a maritarsi – hanno fatto lo stesso. È la spezia della bellezza, più soffice del raso. Se la tengo tra le mani, la curcuma mi parla, con una voce di crepuscolo che riecheggia l’inizio dei tempi. La curcuma, chiamata anche halud, giallo, il colore dell’alba e dello squillo delle conchiglie suonate sul far del giorno. La curcuma capace di conservare, di mantenere sano il cibo in una terra di calore soffocante e di fame. La curcuma, spezia della fortuna, spalmata sulla fronte dei neonati in segno di buon auspicio e strofinata lungo gli orli dei sari nuziali”


I masala della cucina indiana

Ingredienti per piccole quantità:

Cicoria in padella, il sapore della cucina povera

Un’erba di cui prima si faceva un largo uso nella cucina Italiana, dalla cucina Laziale a quella Meridionale, e di cui ora si è persa un po’ la consuetudini di adoperala è la Cicoria. Un tempo era tanto comune usare la cicoria, soprattutto tra le famiglie meno facoltose, poiché questo tipo d’erba, che cresce spontaneamente in terreni asciutti ed incolti ed è facilmente riconoscibile, poteva essere raccolta direttamente nei campi.

Con gli anni di benessere che ci sono stati, la pratica di raccogliere la cicoria nei campi si è persa, e visto che prima era simbolo di povertà, per apparenza è stata allontanata dalle tavole.
Ma per noi le apparenze non contano e ci fa piacere dare più importanza al sapore delle cose.
Il caratteristico sapore rustico e amarognolo della cicoria la rende particolarmente adatta per accompagnare pietanze grasse o dai sapori delicati.

Pollo stufato alla siriana, un piatto per i giorni freddi

Pioggia e basse temperature hanno fatto il loro ingresso ed ormai è tempo di cambiare tipo di alimentazione e indirizzarci su piatti un pò più calorici e più consoni al clima.
Non è ancora arrivato il momento di accendere le stufe, ma la preparazione del piatto di oggi ne avrebbe proprio bisogno.

Non che sia un piatto freddoloso, ma anticamente veniva cucinato sfruttando, nel corso dell’intera giornata, il calore delle stufe che si usavano per riscaldare la cucina e gli ambienti circostanti. Proprio da questo particolare modo di cottura trae il suo nome: Stufato.
Lo stufato è un piatto che si ritrova un po’ in tutte le cucine del globo, soprattutto in quelle dei paesi con forte tradizione contadina, ricordiamo l’Irish stew della cucina irlandese. La ricetta che proponiamo oggi è quella del Pollo stufato alla siriana.

Pajata di vitello arrosto

Dopo i mitici rigatoni con la pajata, vi presentiamo un’altra ricetta appartenente alla cucina romana, la pajata di vitello arrosto. Scrive Livio Jannattoni nella sua opera “La cucina romana e del Lazio“: la Pagliata (pajata in romanesco) rientra nelle componenti di quel “quinto quarto” del bovino (frattaglie, testa, coda), sulle quali si applicò un tempo “la cucina povera“, fino ad elaborare e realizzare piatti eccellenti, che costituiscono tuttora un vanto della romana gastronomia.

 Qualcosa di veramente straordinario, quell’umile punto di partenza e il corrispettivo traguardo, rusticamente trionfale. Tanto da far festa increduli ancora oggi. “Pagliata” (o pajata), si legge ad esempio ne La mia cucina. Grande enciclopedia illustrata, una pubblicazione di sicuro pregio e di ampie dimensioni. “Uno dei più sconcertanti piatti della cucina regionale italiana, in questo caso della romanesca. Si tratta dell’intestino di vitello, contenente ancora il chimo.

 La pagliata, che spesso viene preparata dal macellaio, si presenta sotto forma di anelli di budello, legati con il filo, e contenente una crema biancastra, leggermente granulosa. Per chi non è nato a Trastevere o nei Borghi”, si trova costretto ad affermare ancora quel compilatore, “accettare questo cibo, anche se saporito e delicato, costa un certo sforzo: ma una volta superati i pregiudizi, lo si apprezza”.

Le vitamine: vademecum sugli alimenti importanti

Non è sufficiente somministrare ad un organismo proteine, grassi, zuccheri e acqua allo stato purissimo. Per una buona salute sono necessari dei fattori integrativi a dosi molto piccole chiamate vitamine. In altre parole, le vitamine sono indispensabili alla vita e la loro mancanza, se protratta a lungo, può portare a vere e proprie malattie. Ogni vitamina ha un suo ruolo specifico, ben stabilito, e non può essere sostituita da un’altra.

Come è possibile assicurare un buon rifornimento di vitamine? Attuando una dieta equilibrata nei principi nutritivi essenziali (il 60% delle calorie deve provenire dai carboidrati, il 12% dalle proteine, il 28% dai grassi) e variando opportunamente i cibi. La copertura del fabbisogno minimo consente di evitare la comparsa di segni clinici di carenza; la copertura del fabbisogno ottimale consente di assicurare all’individuo uno stato di massimo benessere.

Totani in zimino, la Sardegna in tavola

La ricetta che vi propongo oggi è una specie di riadattamento di un piatto della cucina sarda. I Totani in zimino, una portata a base di pesce , condito con diversi tipi di verdure, una pietanza che prende spunto da un’antica usanza del popolo sardo.

Zimino significa pezzi, ed abitualmente con questo termine si indica più che altro un insieme di pezzi di frattaglie di agnello e bovino cotte alla brace. La tradizione dello zimino è tipica dell’ambiente rurale sardo, ed è accompagnata da un vero e proprio rituale, la ziminadda, un banchetto a base di zimino di carne e di verdure innaffiato dal robusto Cannonau.

In alcuni parti costiere lo zimino viene fatto anche con il pesce, preparando una specie di zuppa unita ad un ricco condimento di verdure. Prendendo spunto dalla tradizione marinara possiamo dedicarci alla preparazione dei Totani in zimino.

Fricassea di carne e melanzane alla tunisina

La Fricassea può essere considerate un parente molto stretto dello spezzatino. Come il gulasch e lo spezzatino, infatti, anche la fricassea è un piatto a base di tocchetti di carne, che vengono cotti insieme al proprio condimento.

Le origini del nome si perdono nella storia, la radice di origine latina frixùra vuol arrostire, friggere da cui poi la parola francese fricasseé che indica la preparazione delle carne tagliata a tocchetti e fatta cuocere in una salsa.

Seppure il nome fa intendere che la fricassea abbia delle origine francesi, nel 1739 lo scrittore Charles de Brosses la descrive come un specialità della cucina ligure, in particola di Savona. Tra le ricette più moderne figura come una pietanza tipica della cucina Nordafricana. Oggi noi vi proponiamo la ricetta della Fricassea di carne e melanzane alla tunisina.

La storia dell’Indivia belga e la ricetta dell’Indivia belga con Emmental

Una storia alquanto curiosa si nasconde dietro la nascita dell’ormai conosciutissima Indivia o cicoria belga. La comodissima insalata che si pulisce e si prepara in pochissimo tempo, vede i suoi natali nel 1850, grazie ad un caso fortuito creato dal giardiniere Bréziers.

Bréziers, giardiniere capo della Società Orticola di Bruxelles, provò a coltivare della cicoria nelle grotte in cui normalmente venivano allevati i funghi Champignons. Dai cespi di cicoria, legati e cresciuti al buio e sviluppatisi sotto la sabbia, si formò l’insalata dalle foglie chiare e dalla forma allungata che conosciamo come Indivia belga.

La carne di manzo: i vari tagli


Quest’oggi invece di presentarvi la consueta ricetta vogliamo fare un pò di scuola di cucina parlandovi di una tipologia di carne molto diffusa: la carne di manzo. La carne di manzo ha colore rosso vivace, grana consistente e abbondanti striature di colore bianco o giallo chiaro secondo la varietà. Questa carne si ottiene macellando le bestie comprese tra i due e i cinque anni di età. Si tratta di carne molto saporita, sostanziosa e nutriente.

Più che nel vitello bisogna selezionare attentamente la qualità per non ottenere risultati deludenti da carni troppo dure, generalmente di animali mal allevati e mal nutriti o adibiti al lavoro dei campi per diverso tempo. Il manzo una volta macellato, viene privato della pelle, della testa, della coda e delle frattaglie e tagliato prima longitudinalmente e poi in quarti tra l’ottava e la decima vertebra: dai quarti così ottenuti si ricavano i vari tagli tenendo presente che i quarti posteriori sono più pregiati di quelli anteriori. Eccovi i principali tagli di manzo ed i loro impieghi ideali:

  • Filetto: carne molto tenera e assai pregiata, ottima ai ferri, alla griglia e in padella o anche cruda.
  • Roast-beef: può essere a costata o a lombata. La costata può essere cucinata alla griglia, ai ferri o in padella (ricordiamo la famosa costata alla fiorentina). La lombata si cucina a fette, ai ferri, alla griglia o in padella; oppure arrotolata, al tegame o al forno.
  • Noce: è costituita dalla parte muscolosa della coscia; la sua polpa tenerissima e gustosa è l’ideale per le bistecche ma si può mangiare anche cruda.
  • Scamone: è quel taglio di carne muscolosa situata posteriormente rispetto al roast-beef. Adatto per arrosti e prelibati bolliti.
  • Fetta di manzo: comprende il magatello o girello e il pesce, è costituita dalla parte esterna della coscia. Particolarmente indicata per brasati.
  • Rosa: è la parte più esterna della coscia. E’ ottima brasata o arrosto, ma più comunemente viene usata per bistecche, cotolette o scaloppine.
  • Sottospalla: appartiene al quarto anteriore dell’animale, cioè alla spalla, e comprende il fondo del cappello da prete e la parte del fusillo, divise da una sottile lamina ossea. Intera è adattissima per i bolliti, tagliata se ne può ottenere un ottimo ed economico spezzatino.

La pasta base per i bignè

La pasta di base di questi dolcetti è abbastanza semplice da preparare, tuttavia richiede una certa attenzione, soprattutto nel momento in cui si aggiungono le uova: vi spiegheremo poi il perché. Vorremmo inoltre fare subito una precisazione: la pasta per bignè si chiama generalmente pasta «da choux» e può venire cotta in forno ma anche fritta.

 Sempre nel linguaggio del pasticciere, con la pasta cotta in forno si ottengono le «bignole» mentre da quella fritta i «bignè». Tuttavia ormai, nell’uso corrente, vengono chiamati bigné anche quelli preparati in forno. Gli ingredienti sono: acqua, farina, burro (questi ultimi 2 in dose dimezzata rispetto all’acqua), uova e un pizzico di sale.

Mettete in una casseruolina 300gr di acqua con un pizzico di sale e 150gr di burro, che deve essere un po’ morbido: toglietelo quindi dal frigo almeno un’ora prima di utilizzarlo (infatti se il burro fosse troppo duro impiegherebbe più tempo a sciogliersi causando così una maggiore evaporazione dell’ acqua). Mettete la casseruolina sul fuoco e lasciate che il liquido raggiunga il bollore, poi levatelo dal fuoco e unitevi, tutta in una volta, la farina, meglio se setacciata , mescolando energicamente. Rimettete su fuoco basso e, sempre mescolando con un cucchiaio di legno, lasciate asciugare la pasta finché formerà una palla che si staccherà, sfrigolando, dalle pareti del recipiente .