Torta della nonna: ricetta base

TEMPO: 1 ora circa | COSTO: medio | DIFFICOLTA’: media

VEGETARIANA: SI | PICCANTE: NO | GLUTINE: SI | BAMBINI: SI


La torta della nonna è oramai ampiamente diffusa sia in Italia che in diversi paesi europei come la Francia. Il nome evoca una figura dolce e protettiva che solo la nonna può essere. Fatta con ingredienti semplici, la torta della nonna, diversamente da come si può credere, richiede una precisione e meticolosità nella preparazione quasi da periti chimici.

 Innanzi tutto la pasta frolla deve essere fatta a regola d’arte e, proprio per questo, potete seguire la ricetta che vi abbiamo segnalato alcuni mesi fa; secondo elemento prezioso e fondamentale per la riuscita della torta della nonna è la crema pasticcera; a me personalmente piace con un pizzico di limone ma la ricetta base prevede una crema semplice e molto delicata, come vi abbiamo di seguito indicato.

 Vi siete mai chiesti qual è l’origine della torta della nonna? Non crediate che sia stata una nonna speciale con un indole spiccata per le novità, anzi! La torta della nonna deve i suoi natali alla splendida Toscana dove dalle sapienti mani dei pasticceri è nata dapprima una sorta di crostata con crema e pinoli e poi una serie di varianti di cui in seguito, se vorrete seguirci, vi forniremo anche la ricetta!

Una ricetta per cucinare un delizioso pesce rosso: le Triglie alla Livornese

Le triglie, i fantastici pesciolini rossi dal sapore inconfondibile, tanto buoni, quanto difficili da pulire, sembra quasi fatto a posta, le triglie hanno una serie di spine così fitta ed ingarbugliata, come se volessero difendere la propria carne a tutti i costi, che è veramente arduo riuscire a spinarle a dovere!

Nonostante le difficoltà le triglie restano sempre dei pescetti deliziosi, da fare fritti o da utilizzare come ingrediente per le zuppe di pesce, e che dire delle triglie alla vernaccia? Altri modi e tante altre ricette per cucinare questi pesci dal colore così accattivante, che probabilmente vi sveleremo in futuro. Per oggi accontentatevi della ricetta delle Triglie alla Livornese.

La tutela della cucina italiana e il culmine della parodia del mangiare italiano


Una gran veduta della campagna senese, una torre medievale si riflette nell’insegna di un ristorante, cesti di verdura all’aria aperta in un mercato di paese, le mani sapienti di un cuoco versano olio d’oliva…
Ecco, tutti gli ingredienti tipici che nell’immaginario mondiale veicolano qualità e produzione tipica dell’Italia, della Toscana. Il riassunto del viver bene “all’Italiana”.
A vederli così accostati pensiamo subito ad uno spot, ad una pubblicità. E’ vero. Siamo così avvezzi alle operazioni di marketing che accostano con disinvoltura questi simboli dello stile enogastronomico italiano ad una zuppa pronta, ad un vino in cartone, ad un condimento liofilizzato, da fare per primi l’associazione. Fin qui niente di nuovo.
Segno dei tempi, si dice. La massaia del XXI secolo deve trovare prodotti compatibili con la velocità della vita modernamente intesa. Poco importa se una delle principali lezioni della cucina è proprio quella di avere più tempo, di rallentare, di prendersela comoda. La massaia ci si rispecchia, in quell’immagine, che accosta un prodotto fresco, ad un surrogato in polvere. E anche noi, in fondo, ci siamo (quasi) arresi a trovarlo normale.
Che c’è di nuovo dunque, in questa riflessione? Mica penserete di rubarci l’attenzione con una trita discussione sulla liceità di sfruttare le immagini cardine della tradizione del belpaese come strumento di marketing? E’ roba vecchia, questa. E avete ragione, datemi solo il tempo di spostare la nostra riflessione sui limiti, di questa disinvolta comunicazione.

Visi rugosi di un antico villaggio di pescatori per promuovere un tubetto di pasta d’alici?

Banale, come sorprenderci per una lezione pubblicitaria degli anni 60′.

Famiglie contadine immerse in campi di grano che mangiano merendine in pacchetti di plastica?

Così ovvio da sembrare consuetudine…
Fin dove può spingersi dunque, la pubblicità per svegliare finalmente la nostra incredulità?
Basterà, per dire, usare una riproduzione bucolica di “campagna senese, cesti di verdure e torri medievali” per pubblicizzare una scatola di cibo per cani? Potrebbe questa eventualità scuoterci fino a provocare una reazione?
L’immenso patrimonio di sapori millenari, di antiche famiglie, di segreti tramandati per “spingere” dei bocconcini marroni in una bava unta che emanano un odore da svenire?
Non c’è bisogno di immaginarlo, perchè questo è quello che è già successo. La foto in apertura (strappata da una rivista americana al volo da una nostra lettrice) pubblicizza proprio CIBO PER GATTI.

La torta di riso: le origini e un modo per prepararla


La torta di riso è un dolce tipico toscano ma come ogni ricetta regionale che si rispetti si è poi diffuso in tutta Italia assorbendone le diverse varianti locali. Anche io che non sono toscana ma romana apprezzo molto questo dolce facendolo spesso. Ritengo tuttavia che anche la torta di riso così come molti dolci della tradizione italiana abbiano le loro differenze e pertanto invito i lettori a suggerirci dei modi alternativo alla ricetta che sto per presentarvi.

L’antenata della torta di riso era la torta di farro: una preparazione salata preparata con formaggio di capra, latte farro e orzo e poi evolutosi con il riso e nella versione dolce. Oggi in molte zone della toscana la torta di riso è il dolce delle feste comandate. Si prepara con latte, uova, zucchero, liquore e buccia di limone grattata. Non esite paese o frazione del comprensorio, che non ne rivendichi la primogenitura. Ogni anno nel paese di Bedizzano si svolge la Sagra della torta di riso.

Cecina, farinata, torta di ceci, cinque e cinque: molti nomi per una sola specialità

Cecina, farinata, torta di ceci, cinque e cinque: molti nomi per una sola specialità
Da toscana, ed ancor di più da livornese, non potevo esimermi dal parlare della torta di ceci, conosciuta anche come cecina o farinata e diffusa in tutta la regione. La vera torta di ceci dovrebbe essere cotta nel forno a legna ed il luogo migliore per mangiarla sono i tortai sparsi per Livorno e Pisa. Il modo tradizionale di magiarla è il “cinque e cinque“, come si chiama qui da noi: in questo caso la sottile torta di ceci viene messa calda dentro una focaccia morbida. Il nome deriva dal fatto che parecchi anni fa il suo costo era di cinquanta centesimi per la focaccia e cinquanta per la torta di ceci.

La torta di ceci mangiata in versione cinque e cinque con una generosa macinata di pepe è consumata tutto l’anno, ad ogni ora del giorno: quando andavo a scuola era la mia merenda di metà mattinata, ma anche il pranzo, e talvolta poteva essere anche la cena. Dopotutto ci sono quei piatti o quegli alimenti che portano con sè il particolare sapore di un ricordo: la torta di ceci è proprio questo per tutti coloro che sono cresciuti in queste zone.

Ora non siete curiosi di assaggiarla? Se non avete in programma di passare dalla costa tirrenica nelle prossime vacanze, vorrà dire che l’unica soluzione è quella di provare a realizzarla seguendo la nostra ricetta!

Lo zuccotto: tradizione e bontà di un dolce di casa nostra

Dolce di tradizione toscana, lo zuccotto pare che debba i suoi natali ad un invenzione di Caterina de Medici. Con la caratteristica forma a cupola, fatto nell’apposito stampino per zuccotti è un dolce semi-freddo, a base di pan di spagna liquore e gelato. Qui a Roma siamo soliti prepararlo con la ricotta, ammorbidendo il pan di spagna con pochissimo liquore. La ricetta che vi presentiamo consigliamo di prepararla sempre con qualche giorno di anticipo e lasciar riposare in frigorifero lo zuccotto prima di consumarlo.
Zuccotto (ingredienti per 6 persone)
  • 250gr di Pan di Spagna
  • ½ lt di panna
  • 400gr di ricotta
  • 50gr di zucchero a velo
  • 100gr di cioccolato fondente
  • 50gr di cedro candito
  • 50gr di ciliegine candite
  • 5 cucchiai di maraschino
  • 5 cucchiai di latte
Per lo sciroppo di cioccolato:
  • 1 cucchiaio di cacao
  • 100gr di zucchero
  • 20gr di burro

I biscotti della salute di Pellegrino Artusi

Come molti di voi, ho imparato a cucinare osservando la nonna indaffararsi sui fornelli, sempre allegramente, ma con la massima professionalità. Mi sembrava che non esitasse mai, sapeva sempre prepararci un pasto succulento anche se avevo l’impressione che il frigo fosse vuoto!

Aveva un dono mia nonna, un dono comune tra le sue coetanee, che avevano imparato i segreti dell’economia in cucina dalle loro madri. Cosi mi ripeteva sempre:

Nulla si perde mai nella “mia” cucina, bastano pochi avanzi e qualche ingrediente semplice per mangiare bene.

Erano gli anni ’70 e in casa nostra si mangiava sempre più ‘espresso’ visto che mamma aveva la passione dei pennelli più che per gli utensili culinari, ma quando partii per il Canada mi regalo’ cerimoniosamente il Libro di Cucina della Nonna: l’Artusi.

Per i più giovani tra voi, Pellegrino Artusi era, all’alba del ‘900, una vera autorità nell’arte culinaria; essere approvati da lui era sinonimo di successo garantito per cui ogni massaia, trattoria o ristorante pregiato sarebbe stato lusingato di vedere una sua ricetta pubblicata in uno dei suoi libri. Libri che si leggono un po’ come romanzi, dalla prima pagina fino all’ultima, perchè non contengono solo ricette, ma le mettono in un contesto temporale e geografico dando cosi l’impressione di ‘viverle’, di immaginare le cucine di allora con queste enormi stufe a legna e forni di campagna, le spianatoie di pietra e le ‘ghiacciaie a ghiaccio’ (abbiamo già parlato di Pellegrino Artusi, e le sue frittelle di tondone, n.d.r.)

Vi riporto oggi una delle sue ricette che uso e riuso continuamente non solo perchè è sana ma anche perchè i miei figli adorano la semplicità di questi biscotti che contengono poco zucchero e fanno, con un bel bicchiere di latte, una prima colazione o una merendina gustosa (specie se li spalmate con un po’ di nutella come fa mio figlio).

Tutti alla sagra del fagiolo zolfino!

A Terranova Bracciolini, in provincia di Arezzo, va in scena, dal 1 al 4 maggio, l’annuale Sagra del fagiolo zolfino. Per informazioni rivolgetevi alla Associazione del Fagiolo Zolfino del Pratomagno – Fraz. Penna – Terranuova Bracciolini (AR). Email: [email protected]; telefono 055-9705039.

Lo zolfino è detto anche “fagiolo del cento” perché viene seminato il centesimo giorno dell’anno, o fagiolo burrino. Lo zolfino è piccolo e tondo, fino a trent’anni fa lo si poteva trovare solo presso pochi agricoltori nella colline intorno a Loro Ciuffenna, paesino del’aretino, e deve il suo nome al colore simile, appunto, a quello dello zolfo.

Cieche alla pisana, gustose e misteriose

Le cieche, chiamate in dialetto cèe, sono gli avannotti delle anguille che dal mare tentano di risalire i fiumi: si pescano quindi alle foci dei fiumi (in Toscana nella Magra, nel Burlamacca a Viareggio, nel Serchio, a bocca d’Arno, nel Cecina a Castiglione della Pescaia, nell’Ombrone) di notte, nei mesi freddi da dicembre a febbraio, con una rete chiamata “ripaiola” o “cerchiaia”. Si pescano, ma non si dovrebbero pescare, perchè dal 1984 la pesca delle cieche è vietata in Toscana e dal 1987 in tutta Italia.

Le cieche che si trovano sul mercato, dunque, dovrebbero essere tutte di allevamento e provenienti soprattutto da Spagna e Francia: i buongustai però sostengono che non siano così buone come quelle locali, e che inoltre abbiano una lisca più consistente.

Un ultimo accenno, prima di passare alla ricetta, circa il ciclo dell’anguilla: il suo ciclo di vita resta infatti a tutt’oggi misterioso, poichè è sicuro che l’anguilla viva in acqua dolce, ma è altrettanto sicuro che partorisca e muoia in mare: il fatto è che non si sa dove, perchè in mare non sono mai state trovate le anguille che a migliaia dovrebbero andare a deporre le uova!

Chianti Classico: qual’è il vostro (stile) preferito?

Si fa presto a dire Chianti Classico! Il caro vecchio vino dal Gallo Nero (termine tra l’altro che non può essere utilizzato per il vino toscano visto che è di proprietà delle Gallo Wineries Californiane) si è evoluto tantissimo negli ultimi anni ed è passato dal fiasco tradizionale da un prodotto fresco e immediato ad un vino capace di “guardare dritto negli occhi i Francesi” come ama dire Marco Pallanti, presidente del Consorzio Chianti Classico e proprietatario del famosissimo Castello di Ama a Gaiole in Chianti (SI).

Ma per apprezzare il Chianti Classico oggi, il Chianti più antico e tradizionale e pregiato tra le 8 denominazioni Chianti DOCG, quello proveniente da una ristretta zona di comuni tra Firenze e Siena, è necessario sapere che ne esistono almeno 3 tipologie dallo stile molto differente. Questo potrebbe apparire un controsenso se si pensa al fatto che una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita) dovrebbe “garantire” un vino dal sapore riconoscibile e definito!