Corvo di Casteldaccia, il mito di un vino Siciliano per eccellenza (seconda parte)

vino

Il popolo, che pure ha conservato tanti antichissimi miti, racconta che:

 fu un asino a insegnare agli isolani la potatura delle viti. Un asino che, sfuggito al padrone, si mise un giorno a scorrazzare pei campi scegliendo come cibo i lunghi e teneri tralci di una vite. Il proprietario riusci a raggiungerlo e lo riportò nella stalla a suon di bastonate, ma al tempo della vendemmia dovette accorgersi che proprio dove il somaro aveva coscienziosamente «potato» la vite, i grappoli erano più fitti e turgidi. E poiché era un uomo riflessivo, apprese la tecnica di sfoltire annualmente i tralci per trame un migliore raccolto.

Per questo motivo è del luogo il vecchio detto:

Asinu pota e Ddiu fa racina» dicono in Sicilia: l’asino pota e Dio fa l’uva.

In realtà il Corvo — bianco e rosso — è un vino abbastanza recente che conta circa 150 anni di vita anche se le uve sono coltivate in Sicilia da tempo; e il nome gli deriva da una località nei pressi di Casteldaccia. Bianco o rosso è un magnifico vino che si meritò nel 1903 un riconoscimento a una fiera internazionale e la cui produzione è attualmente curata dai Duchi di Salaparuta.

A tavola il Corvo bianco va servito a 10-12° di temperatura; il rosso a 18-20°.

Il primo è eccellente con gli antipasti, il pesce e i filetti di sogliola,  in particolare; il secondo è fra i migliori vini da arrosto che si producono nel Sud, consigliabilissimo specie con il pollame nobile.

Vi lascio con una sicilianissima “composizione poetica settecentesca” che sfido chiunqua a tredurre letteralmente…io confesso di averne compreso il senso ma non le parole una per una!

Megghiu pri taluni la cicuta Chi ‘monacarsi, e aviri lu Iole.
Eppuru hanno ddu muttu vannutu: Megghiu ‘mbriacu, ch’essiri cornutu.