Dalla Sardegna: Triglie alla vernaccia

Le triglie di scoglio si riconoscono facilmente poichè hanno un bel colore rosso vivo, talvolta 3 o 4 linee orizzontali gialle lungo i fianchi e, unico segno sicuro, delle strisce rosso-brune sulla prima pinna dorsale, quella cioè più vicina alla testa. Le triglie di fango o di rena, invece, sono inferiori quanto a qualità, ma si possono utilizzare per fare dei sughi per la pasta e per insaporire le zuppe; inoltre, sono la varietà da utilizzare se vogliamo friggerle, comprese quelle assai piccole che si pescano da metà agosto alla prima decade di settembre.

La triglia non ha fiele ed ha un ottimo fegato, per cui è consigliabile non sventrarla (non per niente i nostri “cugini” francesi chiamano la triglia “beccaccia di mare”): semmai è consigliabile eliminare le branchie qualora fossero sporche di fango. Il periodo della pesca delle triglie è tutto l’anno, ma il migliore, qualitativamente, è sicuramente quello che copre per intiero i mesi di settembre ed ottobre.

La ricetta delle triglie alla Vernaccia che presento non è di per sè propria della Sardegna, ma lo diventa nella misura in cui andremo ad aggiungere alla ricetta base il pangrattato e la scorza di limone grattata, secondo un uso tipicamente cagliaritano, ma esteso a tutta l’isola.

Come preparare i peperoni ripieni

Il peperone, che appartiene al genere Capsicum della famiglia delle Solanacee, è un ortaggio originario delle regioni tropicali e subtropicali dell’America Centrale. La fioritura avviene continuamente da maggio a settembre ed è perciò possibile trovare nello stesso momento sulla pianta frutti acerbi e maturi. I peperoni sono inoltre molto variabili per colore, spessore, forme, dimensioni. Quelli verdi sono i peperoni raccolti prima della piena maturità; se fossero lasciati sulla pianta diventerebbero gialli o rossi secondo la varietà. Quelli rossi hanno una polpa croccante, zuccherina e spessa mentre i gialli sono teneri e succosi.

Ci sono peperoni dolci e peperoni piccanti (peperoncini), alcuni primaticci altri tardivi. Il sapore più o meno piccante dei peperoni è dovuto alla minore o maggiore presenza di capsaicina, contenuta sia nella polpa che nei semi. Il peperone è ricchissimo di vitamina C e di vitamina A, soprattutto quello maturo, di colore rosso o giallo.

Quali che siano le preparazioni, i peperoni vanno sempre liberati dal peduncolo, dai semi interni e dal torsolo. Per molte preparazioni i peperoni devono anche essere liberati dalla pellicina esterna, che si toglie facilmente dopo averli fatti leggermente bruciacchiare nel forno caldo, o alla fiamma tenendoli infilati su una forchetta. Questa bruciacchiatura è quasi una cottura e per certe preparazioni è anche sufficiente. La ricetta coi peperoni che presento oggi è una ricetta tipicamente meridionale: peperoni ripieni!

Mozzarella, in carrozza!

Il termine mozzarella deriva da mozzare, operazione praticata ancora oggi in molti caseifici, che consiste nel taglio manuale della pasta filata, effettuato con indice e pollice, la “mozzatura”. Prodotta con latte di bufala o di vacca, la mozzarella è un latticino fresco a pasta filata la cui paternità va divisa fra Campania (specialmente le province di Salerno e Caserta), Lazio, Basilicata e Puglia. Quella di bufala DOP è rigidamente controllata e regolamentata.

Per chi sta particolarmente attenta alla linea, bisogna ricordare come la mozzarella non sia un formaggio particolarmente magro: comporta infatti tra le 240 e le 250 calorie per 100 gr.. Nonostante questo, oggi ci concediamo lo sfizio di una ricetta veloce e che richiede pochi ingredienti, una ricetta semplice ma non facile, poichè se è pur vero che “fritta è buona anche la carta”, tuttavia friggere bene non è mai scontato: sto parlando- naturalmente- della mozzarella in carrozza.

Prima però, come spesso amo fare, qualche breve cenno su come si procede dalle materie al prodotto finito. Il processo di lavorazione della mozzarella richiede notevole abilità manuale: estratta la cagliata, si procede scaldando parte del siero ad una temperatura sui 50° C per poi versarlo sulla cagliata. Dopo un quarto d’ora è necessario ripetere il procedimento, ad una temperatura questa volta più alta, a 60° C, quindi si lascia riposare per favorire l’acidificazione. In una seconda fase “si fila”, ovvero si taglia la cagliata a fette, di regola sottili e lunghe per poi immergerle in acqua a 90°. Infine si procede alla lavorazione a mano- e qui abitudine ed esperienza la fanno da padrona- per ottenere le forme desiderate. Adesso prepariamo la mozzarella in carrozza.