Aceto balsamico del Duca: al vertice del sapore

L’ aceto balsamico non nasce dalla degenerazione di un vino, per quanto eccellente possa essere, ma da uve preziose per nobiltà di genealogia e di geologia, per equilibri climatici, per sapienza di vendemmiatori e di cantinieri: la sua storia comincia in una vigna, come quella del vino, ma deve prenderne subito dopo le debite distanze. I vigneti classici del balsamico sono quelli delle colline modenesi, dove maturano i grappoli del Trebbiano bianco.

Si vendemmia, si pigia, si passa alla mostatura: ma è proprio qui che la strada del balsamico si divide da quella del vino, perché al primo accenno di fermentazione bisogna immediatamente separare il mosto dalle graspe per impedire che gli zuccheri si trasformino in alcool. Il mosto passa quindi in caldaia, a cuocere sul fuoco vivo. Tolto il mosto dalla caldaia, lo si filtra e, quando è raffreddato, si versa nelle botti per la opportuna stagionatura.

E’ a questo punto che la tradizionale acetaia modenese entra nel silenzio e nel mistero. Cinque sono le botti nelle quali deve passare il mosto per la trasmutazione in aceto balsamico, cinque sono le qualità del legno delle botti — dal rovere al castagno, al ciliegio, al frassino, al gelso — cinque le capienze, dalla maggiore di 60 litri, in calare fino alla minore da 20, e poi seguono i travasi in bottiglie ed ampolle.


Ma innumerevoli sono gli interventi del maestro dell’acetaia, depositario di tutti i segreti del mestiere: un mestiere che ha secoli di storia. E di gloria. Perché l’aceto balsamico ha conquistato i sovrani, i signori, i condottieri, i letterati, e persino i medici che se ne sono serviti come disinfettante universale — mentre infuriavano le pestilenze. Ancora nei primi anni del nostro secolo, l’aceto balsamico di Modena era venduto dagli speziali a piccole dosi che, goccia a goccia, avrebbero portato all’ eccellenza i piatti più prestigiosi sulle mense di corte come su quelle delle più modeste famiglie.

Adriano Grosoli discende da uno di quegli antichi speziali e l’aceto balsamico che distilla nella sua acetaia di Spilamberto in provincia di Modena è l’erede legittimo della più autentica tradizione. Lo ha battezzato Aceto Balsamico del Duca, rifacendosi appunto a questa tradizione, secondo cui fu un cortigiano del Duca Francesco I d’Este a definire “balsamo” l’aceto che stava gustando durante un pranzo al palazzo: ed è infatti il Duca Francesco I, nel famoso ritratto di Velázquez, che domina l’insegna della ditta.

L’Aceto Balsamico del Duca, asso nella manica dei più grandi cuochi, è prodotto in versioni diverse, nelle molte sfumature del suo gusto che è delizioso appunto perché sempre sospeso tra il dolce e l’amaro, tra il vellutato e il pungente, e ogni versione esalta particolarmente alcuni piatti, fermo restando che qualsiasi portata ne è arricchita.